Foto e testi tratti da www.openalpmaps.it/progettodolomia
La Via della Dolomia: Il Viaggio della roccia nelle Alpi Dolomitiche
La Valle di San Lucano
La Valle di San Lucano si estende per una lunghezza di 10 km con una larghezza e una profondità media di quasi 2 km, essa attraversa il nucleo della più grande fra le scogliere dolomitiche e conserva una chiara impronta glaciale. Nel bacino del Tegnàs rocce sedimentarie carbonatiche e detritiche e rocce magmatiche intrusive ed effusive sono affiancate a formare un luogo unico.
La Valle è racchiusa a sud da una serie di frastagliati picchi che culminano con lo spigolo nord dell’Agnèr, la più alta parete delle Dolomiti; a nord dai 1300 metri di rocce diritte e aggettanti delle Pale di San Lucano, solcate da profondi abissi rocciosi; in fondo sembra finire contro l’Altopiano delle Pale di San Martino, ma in realtà prosegue con la Val d’Angheràz un enorme circo glaciale attorniato da costoni verticali. Qui le peculiarità del paesaggio dolomitico raggiungono le massime espressioni con linee orizzontali di cenge e altopiani che si intrecciano perpendicolarmente con torri e canaloni.
Con la verticalità delle pareti; la ricchezza delle forme: guglie sottili, maestose torri, imponenti bastionate; il contrasto di colori: rocce dolomitiche dipinte dai raggi del sole accanto a scure rocce vulcaniche; la monumentalità dello smisurato obelisco dell’Agnèr e dell’agile Torre Armena che contrastano con l’edificio squadrato delle Pale.
Pochi luoghi evocano il senso del sublime come questa Valle le cui pareti verticali e incombenti lasciano un piacevole senso di smarrimento e di paura specialmente quando le nubi temporalesche si insinuano tra le torri e risalgono i “borai” (stretti e profondi canaloni rocciosi) facendo risaltare particolari altrimenti invisibili.
La valle è molto ricca di particolarità geologiche, paesaggistiche, ambientali e storiche e, grazie alla verticalità e all’altezza delle sue pareti, permette di svolgere oltre alle solite attività escursionistiche e sportive, anche sport estremi come l’arrampicata di elevata difficoltà, il torrentismo, il base jumping e lo wisbase.
L’alveo del Tegnàs
Il Tegnàs, a differenza della maggior parte dei torrenti dolomitici, è un corso d’acqua contraddistinto da un basso impatto antropico ed è libero di divagare nel fondovalle in modo del tutto naturale. Questa sua caratteristica lo ha reso un ideale laboratorio stabile a cielo aperto per lo studio della dinamica dei processi fluviali; la ricerca, iniziata 10 anni fa e ancora in atto, è svolta dal CNR di Milano con la collaborazione dell’IIS “U. Follador” di Agordo.
L’analisi dei flussi idrici del Torrente Tegnàs ha messo in evidenza un comportamento idraulico anomalo della Valle di San Lucano. In condizioni normali l’acqua proveniente dalla parte alta del bacino (Val d’Angheràz e Val Bordina) viene in parte assorbita nell’enorme materasso alluvionale presente nella zona di Mezzavalle (spessore 150-200 metri, larghezza 300 metri) per poi riemergere più a valle. La causa dell’anomalia è collegata alla presenza di un setto impermeabile sepolto (una morena o un profondo collasso di versante) che agisce come regolatore dei deflussi dividendo il bacino in due parti, a monte si hanno portate elevate ma variabili e grandi volumi di detriti mobilitati, a valle deflussi minori e regolarizzati con poco trasporto solido. Naturalmente questo comportamento non è applicabile agli eventi eccezionali come l’alluvione del 1966 o la tempesta Vaia che hanno completamente stravolto l’alveo del torrente.
Itinerario geologico della Valle di San Lucano
L’itinerario della lunghezza di circa 30km e il dislivello complessivo in salita di circa 1500m, risulta particolarmente impegnativo e difficile da percorrere interamente in una sola giornata, pertanto si consiglia di suddividerlo in parti e affrontarlo in più giorni.
Il tratto di bassa quota, che si sviluppa lungo l’asse della valle, può essere percorso a piedi, in bicicletta o in automobile. La sezione che si estende a quote più alte deve necessariamente essere percorsa a piedi. Nel caso in cui si intendesse visitare solo la parte alta conviene partire da Col di Prà, dove si può lasciare l’auto nell’ampio parcheggio.
L’itinerario descritto può essere suddiviso in più sezioni a seconda delle esigenze e delle aspettative dell’utente; vengono proposte 4 tematiche:
- Sentiero dell’Acqua
- Sentiero della Terra
- Sentiero del Fuoco
- Sentiero dell’Aria
Sentiero dell’Acqua:
l’acqua nei suoi vari aspetti come torrenti, sorgenti, cascate, laghetti, morfologia glaciale.
Si sviluppa in prevalenza a fondovalle ed è articolato nelle seguenti tappe: Le Peschiere, San Lucano, Mezzavalle, Col di Prà, Sorgenti del Tegnàs, Cascata dell’Inferno, Pont.
Partenza: Taibon Agordino
Lunghezza: 10 km;
Dislivello: 600 metri circa,
Tempo di percorrenza (a piedi): una intera giornata.
Sentiero della Terra:
la geologia, la storia locale e l’utilizzo delle rocce da parte dell’uomo.
Si sviluppa per lo più a fondovalle ed è articolato nelle seguenti tappe: San Lucano, Mezzavalle, La Calchera, Sentiero Cozzolino, Frana di Prà e Lagunàz, Col di Prà, La sezione ad “U”, Pont.
Partenza: Taibon Agordino
Lunghezza: 9 km;
Dislivello: 550 metri circa
Tempo di percorrenza (a piedi): una intera giornata.
Sentiero del Fuoco:
le rocce magmatiche.
Si sviluppa interamente nel sottobacino del Torrente Bordina, all’interno dell’area di affioramento delle rocce magmatiche ed è articolato nelle seguenti tappe: Pian della Stua, Casera Campigat, Casera ai Doff, Malgonera, Val Granda.
Partenza: Col di Prà
Lunghezza: 12 km,
Dislivello: 1200 metri circa.
Tempo di percorrenza (a piedi): una intera giornata.
Sentiero dell’Aria:
i panorami
Riguarda essenzialmente il tratto dell’itinerario lungo la cresta fra la Valle di San Lucano e la Val Garés è articolato nelle tappe: La sezione ad “U”, Casera Campigat, Casera ai Doff.
Partenza: Col di Prà
Lunghezza: 12 km,
Dislivello: 1200 metri circa.
Tempo di percorrenza (a piedi): una intera giornata.
Da Listolade (q. 680 circa s.l.m.) Pannello 18 si consiglia di proseguire in automobile fino a Capanna Trieste (q. 1105 s.l.m.) Pannello19, in quanto nel primo tratto della Val Corpassa non vi sono particolarità geologiche importanti e percorrere l’intero itinerario a piedi richiederebbe di affrontare un dislivello impegnativo (1200 metri circa).
Raggiunta Capanna Trieste (Pannello 19) si può posteggiare nell’ampio parcheggio.
Per completare il percorso (andata e ritorno da Capanna Trieste) servono circa 5 ore.
Da Capanna Trieste si imbocca il sentiero CAI n. 555 lungo la strada privata della Mussaia, siamo sul percorso della mitica “Transcivetta”, gara di corsa in montagna a coppie che si svolge ogni anno, dal 1980, nel mese di luglio.
La strada, dopo aver superato un ponticello, sale ripidamente attraverso il pendio sassoso boscato e poi attraversa una grande colata detritica attiva proveniente dai Giaroi del Palanzin. Di fronte, verso nord si scorge una cascatella, poi si attraversa il torrente su un ponticello e si raggiunge una zona molto ricca di acque. Dopo 20 minuti di cammino, si giunge quindi al Pannello 20.
Il cammino continua lungo la strada della Mussaia, salendo il panorama diventa sempre più ampio si giunge al Pannello 21, dove si può osservare il profilo di valle glaciale ad “U” della Val Corpassa con il versante sinistro occupato dall’enorme falda detritica sviluppata alla base della Moiazza e interessata da vistosi fenomeni di debris flow.
Proseguendo il cammino si raggiunge il Pian delle Taie (q. 1600 circa s.l.m.) da qui possiamo osservare nella sua interezza l’articolato skyline dei Cantoni di Pelsa. Attraversato il torrente proveniente dalla Val dei Cantoni si prosegue verso il Rifugio Vazzoler (q. 1713 m s.l.m., circa 1 ora e trenta minuti da Capanna Trieste).
Dal rifugio Vazzoler, Pannello22, si prende il sentiero CAI n. 560 che, uscito dal bosco, entra in un macereto di frana a grossi massi formatosi in seguito ad un crollo che nel 1917 ha interessato il fianco occidentale di Torre Venezia. Qui è ubicato il Pannello 23.
Dal pannello 23, si continua il percorso che sale ripido fra i massi di dolomia, al cospetto di Torre Venezia fino a quota 1800 circa, al tornante si lascia il sentiero CAI n. 560 e si imbocca la strada che conduce a Malga Pelsa aggirando il Col del Camp.
Il sito del Pannello 24, scenografico punto panoramico, è ubicato sul tornante dove si stacca la stradina che conduce a Case Favretti, a circa una mezz’ora a piedi dal Rifugio Vazzoler. Proseguendo per una decina di minuti si raggiunge la Malga Pelsa (Casera di Pelsa) (1829 m s.l.m.), ove è ubicato l’ultimo pannello (Pannello 25) dell’itinerario.
“Non potemmo tuttavia oltrepassare Listolade senza arrestarci un minuto, per gettare un’occhiata entro la Valle della Corpassa, che si apre sulla sinistra del Cordevole. Un colosso di monte, una tela d’ignude rupi, ne chiude lo sfondo. Vedeste mai una montagna più bella o più orrida? È la Civita, detta anche Corpassa, vista da mezzodì, più simile a un’immensa muraglia diroccata che ad una montagna.”
La Val Corpassa
La Val Corpassa è un solco profondamente incassato nell’edificio inferiore del Civetta, all’inizio della valle affiora per pochi metri, la Formazione di Werfen. Alla base dell’opera di presa (a 500 metri da Listolade) si possono osservare alcuni strati appartenenti alla Formazione di Agordo. Attraversato il primo (Ponte di Rabul q. 814 m s.l.m.) la strada corre su detrito di falda e frana. L’impronta ad “U” di valle glaciale è ancora riconoscibile in alcune sezioni, anche se la valle è caratterizzata da una vivace dinamica dei versanti e il torrente Corpassa scorre in un alveo particolarmente instabile cosparso di blocchi e massi enormi.
Le pareti circostanti sono composte in basso dalla Formazione del Contrin e verso l’alto dalla Formazione dello Sciliar. Il loro aspetto non è particolarmente “dolomitico” perché l’alterazione biologica a bassa quota è molto spinta e le rocce sono rivestite di patine scure.
Il Gruppo del Civetta
Le Dolomiti rappresentano l’archetipo di una particolare tipologia di paesaggio definito appunto “paesaggio dolomitico”, presente anche in altre parti del mondo dove però non raggiunge lo splendore, la grandiosità, la potenza delle nostre montagne. Le Dolomiti sono un bene seriale, costituito da un insieme di sistemi montuosi che presentano aspetti comuni ma si distinguono l’uno dall’altro per caratteristiche peculiari. Un sistema è composto da uno a più gruppi montuosi ed è difficile trovare tutte le caratteristiche che hanno reso le Dolomiti Patrimonio dell’Umanità in un singolo monte, ad eccezione del Civetta.
Nel Civetta coesistono le particolarità delle Dolomiti Occidentali, contraddistinte da dolomie compatte di scogliera, con quelle delle Dolomiti Orientali, caratterizzate invece da dolomie stratificate di piana tidale e da calcari liassici. La complessità geologica è elevata e deriva dalla combinazione fra l’articolata paleogeografia ladinico-carnica e la tettonica polifasica alpina.
Il Civetta è una montagna straordinaria, grandiosa, dove l’immensità della parete Nord-Ovest, nota nel mondo germanico come “die Wand der Wände“, la parete delle pareti, lunga 7 km e alta 1200 metri, contrasta con la moltitudine di torri che ne ricamano le creste; dove dietro una apparente semplicità si cela una serie complessa e articolata di crinali che racchiudono perle scintillanti e poco conosciute come il Giazér, piccolo ghiacciaio pensile annidato nell’alta Val dei Cantoni, fra le cime più alte del gruppo.
La struttura del paesaggio, la verticalità unita all’imponenza delle sue pareti, la varietà di forme e di colori rendono il Civetta “il monumento naturale al Sublime”, la sintesi di tutte le Dolomiti.
Il massiccio Civetta-Moiazza è suddiviso in due parti, l’edificio inferiore è modellato nelle dolomie di scogliera (Dolomia infraraibliana degli Autori), esso è separato da quello superiore, scolpito nella
Dolomia Principale e nei Calcari Grigi, dalla Formazione di Travenanzes, quasi completamente ricoperta dai detriti di falda.
L’aspetto più spiccatamente dolomitico dell’edificio superiore dipende essenzialmente dalla diversa quota; Dolomia Principale e Calcari Grigi sono ubicati in una fascia altimetrica in cui prevalgono i fenomeni crio-nivali; gli strati dolomitici appartenenti alla F. del Contrin e alla F. dello Sciliar sono collocati invece in un fascia climatica in cui l’ efficacia dei processi chimico-biologici ha portato ad una alterazione della roccia con colorazioni più scure rispetto alle quote più alte.
Capanna Trieste
Capanna Trieste è ubicata accanto all’ampio alveo sassoso del torrente, nei pressi di un canalone detritico attivo. Le rocce circostanti appartengono alla Formazione dello Sciliar visibilmente alterata dalla vegetazione, in alto incombe la sagoma slanciata di Torre Trieste (2458 m), 800 metri di parete verticale con a sinistra la Cima della Busazza (2894), 1100 metri di parete e a destra la soglia del Van delle Sasse e la Cima delle Sasse.
Torre Trieste è scolpita per metà nella Dolomia Principale, la Busazza nella parte inferiore in dolomia e in alto, oltre l’interruzione di pendenza, in Calcari Grigi. La Val dei Cantoni ospita ancora un piccolo glacionevato (el Giazer o Ghiacciaio de Gasperi), un altro glacio-nevato ricoperto in gran parte di detriti è situato sul Van delle Nevere, alla base della Moiazza.
Cascate e sorgenti Carsiche (1390 m s.l.m.)
Quest’area è caratterizzata dalla presenza di diverse sorgenti carsiche. L’edificio superiore del Civetta è formato da Dolomia Principale e da Calcari Grigi, rocce carbonatiche e pertanto soggette al fenomeno carsico. L’acqua piovana scende attraverso le fessure dell’ammasso roccioso, amplificate dall’azione di corrosione carsica e penetra in profondità (acquifero), fino a che non incontra gli strati della Formazione di Travenanzes. Questa formazione è caratterizzata da livelli marnosi (con un elevato contenuto in argilla) impermeabili (acquicludo), l’acqua permeata attraverso le fratture giunta, al passaggio dolomia-marna, riemerge in superficie creando la fascia di sorgenti.
Cascate e marmitte
Le cascate sono sicuramente uno degli elementi morfologici più apprezzati dei paesaggi montani, si rinvengono con una certa frequenza nei segmenti superiori dei corsi d’acqua in corrispondenza di salti sviluppati in livelli rocciosi più tenaci (morfologia selettiva) o nei tratti terminali delle valli laterali in corrispondenza delle soglie rocciose delle valli glaciali sospese. Spesso alla base della cascata, specie in presenza di strati rocciosi suborizzontali, si sviluppano forme dette marmitte di evorsione, localmente denominate vasche, cadini o boioni. Le marmitte sono caratterizzate da una forma all’incirca emisferica, con il bordo rientrante rispetto alla buca sottostante, sono state scavate dai moti vorticosi dell’acqua e dei detriti da essa trasportati, un ruolo importante nell’evoluzione delle marmitte modellate su rocce carbonatiche, è svolto anche dalla corrosione carsica.
Colate detritiche
Sul versante orografico sinistro della Val Corpassa, alla base delle pareti della Moiazza, si sviluppa un’ampia fascia detritica spesso soggetta a dissesti, siamo in presenza di un bel esempio di colate detritiche attive.
Le colate detritiche (lave torrentizie, debris flow) sono miscele estremamente mobili di sedimenti con dimensioni che vanno da quelle dell’argilla fino ai blocchi e ai massi. I solidi possono arrivare a costituire fino al 90% in peso della massa in movimento.
In presenza di intense precipitazioni o di grandi afflussi idrici si generano colate detritiche a causa di un deflusso superficiale abbondante concentrato nei canaloni, in grado di rimobilizzare il detrito presente alla base della parete rocciosa. Le colate detritiche iniziano con piccole frane che muovendosi aumentano di porosità (fenomeno detto dilatanza) e si arricchiscono d’acqua. L’inglobamento di elevate quantità di detrito nel deflusso superficiale porta alla formazione di una corrente solido-liquida. Un fenomeno a metà strada fra la frana (il materiale in movimento scorre su una superficie sepolta e si arresta quando l’attrito fra la massa in movimento e la superficie su cui scorre supera la componente attiva della gravità) e la piena di un corso d’acqua (la corrente liquida erode e trasporta in sospensione sabbie e limi e sul fondo ghiaie e ciottoli).
Nella frana prevale nettamente la parte solida, nei corsi d’acqua la portata è soprattutto liquida, nei flussi detritici il rapporto solido/liquido è vicino all’unità.
I debris flow sono caratterizzati da ondate che mostrano un fronte ripido dove si concentrano i materiali più grossolani (massi e blocchi), seguite da una coda più liquida. Possono formarsi ondate successive a causa di una temporanea ostruzione del canale e successiva rottura della diga di detrito. Interessano canali permanenti o versanti aperti con pendenze elevate 15-30°. Durante il flusso la densità varia da 1,8 a 2,5 t/m3 e la velocità da 0,5 a oltre 20 m/s; se la presenza di argilla è consistente i flussi detritici riescono a scorrere anche con pendenze deboli (fino a 5°). Il flusso avviene al contatto letto-detrito al di sopra si realizza un blocco rigido di detrito (plug), un fatto singolare è che i massi più grossi tendono a galleggiare.
Anche in questa zona si possono distinguere bene gli elementi morfologici che caratterizzano le aree soggette a colate detritiche: in alto la zona di innesco (scarsamente vegetata, ripida, con presenza di detrito sciolto), la zona di trasporto che consiste nel canale che si approfondisce per erosione al passaggio del debris flow e l’area di deposito costituita dal conoide torrentizio, in questo caso parte del materiale franato è stata erosa dal torrente Corpassa.
Val Corpassa, Agnér e Cantoni di Pelsa
Dalla “Mussaia” si può cogliere il profilo di valle glaciale ad “U” della Val Corpassa con il versante sinistro occupato dall’enorme falda detritica sviluppata alla base della Moiazza e interessata da vistosi fenomeni di debris flow.
L’orizzonte sud è dominato dal Monte Agnèr (2878 m); la disposizione inclinata dei suoi strati non è dovuta a movimenti tettonici ma è originaria, l’Agnèr infatti è scolpito nelle clinostratificazioni della scarpata di scogliera (Formazione dello Sciliar) delle Pale di San Martino-San Lucano. Più lontano, a sinistra si scorge il Gruppo del Cimonega con le Cime del Piz de Mez, del Sass de Mura e del Piz de Sagron. A nord incombe Torre Trieste con la sua parete verticale.
Proseguendo il cammino si raggiunge il Pian delle Taie (q. 1600 circa s.l.m.) da qui possiamo osservare nella sua interezza l’articolato skyline dei Cantoni di Pelsa, un intricato labirinto di torri, guglie e pinnacoli che termina ad occidente con Torre Venezia.
Questa tipologia di paesaggio è prodotta dall’erosione selettiva che agisce attivamente lungo le superfici di debolezza (faglie e fratture a prevalente sviluppo verticale che ritagliano e attraversano la montagna) e risparmia le zone di roccia più compatta dove si sviluppano torri e pinnacoli.
Rifugio Vazzoler (1713 m s.l.m.)
Il Rifugio Vazzoler (di proprietà del CAI di Conegliano) sorge sul Col Negro di Pelsa (1720 m s.l.m.), al limite del bosco di conifere ed è dominato dalla Torre Venezia.
Accanto al rifugio si estende, su un’area di circa 5000 metri quadrati, un “Giardino Botanico” inaugurato nel 1968 e dedicato ad Antonio Segni (Presidente della Repubblica dal 1962 al 1964). Il giardino ospita circa 180 specie vegetali tipiche dell’ambiente montano e si articola in due sezioni, la prima è lasciata all’evoluzione naturale, la seconda offre una rassegna dei principali ambienti alpini e dolomitici.
Dal rifugio Vazzoler il panorama spazia da Torre Venezia, ai Cantoni di Pelsa separati dalla Valle dei Cantoni dalla Cima della Busazza. Da qui la vista sulla famosa parete Est di Torre Trieste è completa, più a destra spunta la Cima delle Sasse, tutte le cime del gruppo della Moiazza fino alla Cima delle Nevère. Sulla Cima delle Sasse è ben visibile una ulteriore particolarità del gruppo del Civetta.
Sovrascorrimenti della Cima delle Sasse
Nel Trias, con l’inizio della frammentazione della Pangea, nella nostra regione si instaurarono condizioni tettoniche distensive, prima si delinearono Piattaforma Trentina e Bacino Bellunese e poi il lento sprofondamento permise nel Giurassico e nel Cretaceo inferiore la deposizione di una considerevole pila di sedimenti.
Nel Cretaceo superiore i movimenti delle placche subirono un radicale mutamento, la zolla africana iniziò il suo cammino verso l’Europa producendo le condizioni compressive responsabili dell’Orogenesi Alpina, che coinvolge ancora Alpi e Prealpi Bellunesi.
La prima fase dell’orogenesi (Eoalpina) non interessò direttamente la nostra regione. Studi effettuati in zone limitrofe hanno rivelato che in questa fase è avvenuta la subduzione e la totale consunzione di un piccolo ramo oceanico della Tetide (l’Oceano Ligure), con la formazione di un arco vulcanico, una situazione geologica per certi versi simile alla cordigliera delle Ande ma di dimensioni assai più ridotte.
Nell’Eocene e nell’Oligocene inferiore la regione dolomitica, non coinvolta nella prima fase dell’Orogenesi Alpina e ancora sommersa dal mare, è stata sottoposta ad una compressione sviluppata in direzione Est-Ovest (fase Mesoalpina o Dinarica) che ha condotto allo sviluppo di pieghe e ampi sovrascorrimenti che riguardavano solo la copertura sedimentaria senza coinvolgere il Basamento Cristallino. I resti di queste strutture, detti lembi di ricoprimento, sono distribuiti su alcuni gruppi dolomitici, la presenza di masse anomale con strati discordanti sulla cima delle montagne aveva fatto nascere, un tempo il nome curioso di “sovrascorrimenti di vetta”. Ora sappiamo che in realtà queste masse anomale, formate da strati contorti e discordanti rispetto agli strati sottostanti, non sono altro che ciò che rimane di grandi coltri di ricoprimento quasi completamente smantellate dall’erosione.
La zona Civetta-Moiazza è una delle aree delle Dolomiti in cui si possono osservare questi sovrascorrimenti, la zona più rappresentativa è costituita dalla Cima delle Sasse contraddistinta da stratificazioni contorte di Calcari Grigi che poggiano con contatto tettonico su strati indisturbati della stessa formazione.
Massi con megalodonti: Formazione di Travenanzes e Dolomia Principale, frana Torre Venezia
Alla base di Torre Venezia affiora il passaggio fra la Formazione di Travenanzes (Carnico superiore) e la Dolomia Principale (Norico), roccia di cui sono composti i massi “zeppi di fossili” accanto al sentiero. L’enorme macereto di frana a grossi massi si è formato in seguito ad un crollo che nel 1917 ha interessato il fianco occidentale di Torre Venezia.
Il passaggio fra le due formazioni è di carattere transizionale, in basso prevalgono gli strati arenaceo-marnosi dalle caratteristiche tinte rossastre, poi il loro spessore e la loro frequenza diminuisce a favore di litotipi carbonatici giallastri caratterizzati da laminazioni stromatolitiche ma ancora sottilmente stratificati; la Dolomia Principale inizia con il primo bancone massiccio di dolomie stromatolitiche intertidali. La Formazione di Travenanzes affiora sporadicamente alla base del versante tutto attorno al gruppo Civetta Moiazza, perché ricoperta da una estesa falda detritica, prodotta dai processi di gelifrazione delle soprastanti dolomie.
La Formazione di Travenanzes (Formazione di Raibl degli Autori) è stata istituita da poco e attualmente non esiste ancora una sezione tipo degna di rappresentarla in modo completo. La formazione presenta infatti una estrema variabilità sia per quanto riguarda la composizione litologica che gli spessori. È certo che si tratta di una serie di strati nei quali è registrata la transizione fra un’area emersa posta a sud delle Dolomiti e la zona a settentrione di ambiente marino più profondo.
Nelle aree meridionali delle Dolomiti nei pressi della Linea della Valsugana, che probabilmente a quei tempi fungeva da limite geografico, si osservano rocce di ambiente continentale.
Nel Gruppo Civetta-Moiazza la Formazione di Travenanzes è caratterizzata dalla prevalenza di argilliti rosso scure, talvolta violacee, verdastre o grigie, a esse sono intercalati straterelli arenacei più chiari e lenti di conglomerati ricchi di piccoli ciottoli silicei colorati: rossi, neri e bianchi; verso l’alto prevalgono litotipi carbonatici con calcari e dolomie stromatolitiche. I ciottoli silicei, provenienti dall’erosione di porfidi e rocce del Basamento Cristallino, sono arrotondati e levigati e, poiché la silice nella scala di Mohs ha durezza 7, è chiaro che per smussarsi devono aver subito un lungo trasporto da parte dei corsi d’acqua, prima della deposizione sul fondo marino.
Gli “strati di Raibl” sono molto importanti dal punto di vista morfogenetico, essi costituiscono la fondazione cedevole che mina alla base le soprastanti pareti di Dolomia Principale, innescando frane di crollo che fanno arretrare le pareti mantenendone comunque la verticalità.
Nel Trias superiore la regione dolomitica faceva parte di una enorme piana di marea sulla quale si depositarono i fanghi carbonatici da cui ha avuto origine la Dolomia Principale; l’uniformità dell’ambiente di sedimentazione maschera gli effetti della tettonica sinsedimentaria, ma, osservando spessori e distribuzione della Dolomia Principale, emerge che anche durante il Trias superiore la regione presentava un certo grado di instabilità. Nell’area del Civetta-Pelmo la subsidenza era moderata, si depositarono circa 300-400 metri di dolomie, sull’Antelao 600 metri e più di mille sulle Tofane.
La Dolomia Principale è divisibile in due membri.
Il Membro Inferiore “peritidale” è la parte “classica” della formazione, ogni strato spesso da 1 a 2 metri, è delimitato da superfici di erosione legate all’emersione e alla rielaborazione da parte di onde e maree di sedimenti precedentemente deposti. Buona parte dello strato si è formata in condizioni intertidali (fra l’alta e la bassa marea) ed è caratterizzata da una fitta laminazione orizzontale: si tratta di lamine stromatolitiche generate dalle alghe azzurre che, durante le alte maree, ricoprivano il fondale con dei veri e propri tappeti, intrappolando e trattenendo il fine fango carbonatico deposto dalle onde durante gli uragani. Con le basse maree il fondale emerso, esposto al caldo sole tropicale, si disseccava originando fanghi poligonali, riconoscibili ancora su superfici di strato. In realtà non è possibile distinguere nella roccia le fasi diurne del ciclo tidale, piuttosto il termine intertidale va inteso per indicare fluttuazioni a breve periodo (qualche anno) dovuto a cause astronomiche o meteorologiche.
La parte bassa o intermedia degli strati è di solito composta da dolomie compatte e vacuolari formatesi in condizioni subtidali, esse contengono resti fossili di gasteropodi (Worthenie) e bivalvi (Megalodonti) sotto forma di modelli interni. Questa modalità di fossilizzazione generalmente crea esemplari mal conservati dal punto di vista paleontologico ma al contempo particolarmente belli esteticamente per la presenza dei lucenti cristalli romboedrici di dolomite che li ricoprono. I megalodonti erano dei molluschi che per riuscire a vivere in questo ambiente inospitale, spazzato da forti correnti di marea, avevano sviluppato un guscio robusto e pesante, dotato di umboni uncinati o a forma di elica con i quali ancorarsi al fondo melmoso. La particolare concentrazione di gusci sulle superficie di questi blocchi può essere messa in relazione con l’azione di onde provocate dagli uragani. Ogni strato è il prodotto della sedimentazione avvenuta fra una fase di innalzamento (trasgressione) e una fase di abbassamento del livello marino (regressione), è un ciclo che nello sviluppo della formazione si ripete centinaia di volte e viene indicato col termine di ciclotema.
La Leggenda: le “Anguane”, nella tradizione ladina, sono degli esseri mitologici custodi delle acque e delle sorgenti, hanno l’aspetto di donne bellissime ma non posseggono piedi umani ma zampe simili a quelle delle capre (anguane piede di capra). È probabile che questa leggenda nasca dall’osservazione negli strati di Dolomia (Cassiana e Principale) e di Calcari Grigi delle impronte dei megalodonti che sembrano proprio orme pietrificate lasciate da mammiferi artiodattili come capre, cervi e camosci.
Il Membro Superiore a “tepee” è invece formato da dolomie mal stratificate saccaroidi a cui si intercalano livelli pedogenetici a pisoliti (granuli formati da gusci concentrici di carbonato di calcio) e, verso l’alto, da dolomie grigie bituminose con frustoli carboniosi (piccoli frammenti di vegetali). I “tepee” riconoscibili negli strati come lamine inarcate a formare una specie di tenda indiana alta qualche decina di centimetri, si formano in questo modo: sul basso fondale marino i depositi fangosi sono sottoposti a cementazione precoce per precipitazione di carbonati. La cristallizzazione del cemento induce un rigonfiamento con inarcamento e fratturazione del fango già consolidato, le fratture vengono subito riempite dal fango ancora molle soprastante e successivamente subiscono la cementazione definitiva.
Il membro Superiore per la presenza di queste particolari strutture sedimentarie è stato interpretato come modificazione subaerea di sedimenti deposti in ambiente subtidale, emersi a causa di fluttuazioni eustatiche del livello marino.
La Dolomia Principale termina con una serie di strati più erodibili sui quali si sviluppano cenge inclinate discontinue, caratteristica che, unitamente a variazioni di colorazione, permette di distinguerla dai soprastanti Calcari Grigi.
Col del Camp (1843 m s.l.m.) – Dolomia Cassiana
Dal tornante dove si stacca la stradina che conduce a Case Favretti ci troviamo in vista del Col del Camp (di proprietà privata come il resto dell’area circostante) e di Torre Venezia, con la nicchia di distacco della frana di crollo che l’ha colpita nel novembre del 1917 e più recentamente nel 2020.
Lo scenario sul gruppo Civetta-Moiazza, nell’area dei Cantoni del Framont, è particolarmente interessante perché ci consente di identificare molto bene il gradone che divide l’edificio superiore (di Dolomia Principale e Calcari Grigi) da quello inferiore (dolomia di scogliera). Il Framont è costituito quasi completamente da Formazione dello Sciliar solo sul suo fianco sinistro e sul Corno del Framont affiora la Dolomia Cassiana. La Formazione di Travenanzes responsabile, per la sua facile erodibilità di questa interruzione di pendenza, è quasi completamente sepolta al di sotto delle falde detritiche.
In questa zona affiorano strati calcarei di colore grigio chiaro o rosato, talvolta di aspetto leggermente nodulare e piuttosto ricchi di fossili. Osservando con un po’ di attenzione la superficie di questi strati, dilavata dal carsismo, non sarà difficile individuare sezioni tipicamente spiralate di molluschi gasteropodi, conchiglie di molluschi bivalvi, cristalli di calcite formati da articoli di crinoidi derivanti dalla disgregazione di gigli di mare e, talvolta, anche qualche cespo di coralli.
Si tratta di strati deposti in ambiente di laguna interna della scogliera cassiana, caratterizzata, a differenza delle piattaforme ladiniche, da una scarsa crescita verso l’alto (aggradazione) a causa del basso tasso di subsidenza della regione dolomitica durante la sua sedimentazione.
Il cammino continua verso Malga Pelsa, quasi subito si intuisce che qualcosa sta cambiando nel substrato geologico perché i calcari rosati vengono sostituiti da calcari bituminosi, sottilmente stratificati.
Malga Pelsa (1829 m s.l.m.) e la laguna di Pelsa
Malga Pelsa (Casera di Pelsa) (1829 m s.l.m.), raggiungibile in poco più di mezz’ora dal rifugio Vazzoler, è ubicata in corrispondenza di una interruzione di pendenza del versante, fra le sottostanti rocce dolomitiche della Formazioni dello Sciliar e gli strati a franapoggio di Dolomia Cassiana del Monte Alto di Pelsa.
La laguna del Pelsa
Nel Carnico (236 milioni di anni fa), in seguito ad un nuovo innalzamento del livello del mare la regione dolomitica si ritrovò ancora in condizioni adatte alla crescita di scogliere organogene. Nuove comunità formate questa volta in prevalenza da coralli con spugne e alghe, ripresero a proliferare in varie zone delle Dolomiti. Queste scogliere dalle quali si è originata la Dolomia Cassiana, si svilupparono però in un contesto tettonico diverso dalle precedenti con un tasso di subsidenza molto inferiore a quello che aveva caratterizzato il Ladinico, per cui esse crescevano più lateralmente (progradazione) che verso l’alto (aggradazione) assumendo l’aspetto di una barriera corallina che progressivamente avanzava sui bacini circostanti colmandoli.
Nella zona del Civetta (Col Rean, Coldai, Corno del Framont) la Dolomia Cassiana, di modesto spessore, poggia direttamente sulla Formazione dello Sciliar, ma in una piccola area, limitata alla zona del Monte Pelsa, il contatto avviene con un pacco di strati di calcari bituminosi sottilmente stratificati, di colore grigio scuro, fetidi alla percussione. Questi strati, di distribuzione discontinua, sono stati descritti nel primo dopoguerra dal geologo Bruno Castiglioni che esplorò ogni angolo delle Dolomiti Agordine definendo stratigrafia, tettonica e geomorfologia dei gruppi delle Pale di San Martino e Civetta-Moiazza.
Questi livelli, unici nell’ambito delle Dolomiti, si sono sedimentati alla fine del periodo Ladinico, simultaneamente al vulcanesimo, in una piccola laguna sviluppata nell’ambito della piattaforma interna contraddistinta da una scarsa circolazione idrica, che ha condotto alla formazione di strati anossici.
Il carattere anossico degli strati identificati dal Castiglioni nella zona del Pelsa li rende una potenziale roccia madre del petrolio, ciò spinse il Professor Maurizio Gaetani, paleontologo dell’Università di Milano, a studiare la zona, accompagnato da un suo laureando Andrea Tintori, che si doveva occupare di pesci fossili. Nell’ambito della ricerca vennero ritrovati alcuni resti di pesci e un insetto e si scoprì che in realtà i bacini anossici erano due, uno ad est del Col delle Capre, nella zona delle Malga Pelsa e uno ad ovest sopra la località Barancion.
Il tempo passa (il petrolio non c’è) e Andrea Tintori diventa professore di paleontogia e specialista di pesci fossili triassici, i suoi studi si sono rivolti inizialmente alla Lombardia (Prealpi Orobiche, Grigne, Monte San Giorgio) e alla Carnia e in un secondo tempo alla Cina Meridionale.
Proprio in Cina sono venuti alla luce, durante lo scavo sistematico di un’ampia superficie di un livello fossilifero del Ladinico (appositamente predisposta dalle autorità locali per estrarre i pesci e i rettili fossili) i resti del più antico pesce volante al mondo il Thoracopterus wushaensis.
La nuova specie, definita e studiata dal Professor Tintori (2012), si caratterizza per la presenza di un campo relativamente ampio di piccole scaglie sub-quadrate subito dietro il cranio e un altro a supporto del lobo ventrale della caudale. Le scaglie della regione dorso-toracica hanno la superficie ornamentata da sottili e brevi strie.
Il giacimento cinese nel quale sono stati raccolte molte altre specie di pesci (fra cui diverse nuove specie), rettili e altri resti fossili (fra cui ammoniti), è già diventato una meta turistica con annesso museo paleontologico.
Il professor Tintori, ormai prossimo al pensionamento, alla luce delle scoperte cinesi, ritorna sui materiali raccolti, da giovane paleontologo, sul Monte Pelsa, supposti coevi, per posizione stratigrafica, con gli strati cinesi e decide di riprendere le ricerche in campagna. Già ad un primo assaggio i risultati sono davvero sorprendenti, da blocchi sparsi in superficie, estratti ed esposti in un modesto scasso, prodotto durante i lavori di ristrutturazione delle casere, il Prof. Tintori individua proprio i resti del Thoracopterus wushaensis. Basterebbe solo questo ritrovamento per gridare alla grande scoperta ma nello stesso giorno vengono ritrovate almeno altre 6 specie di pesci oltre a resti vegetali strutturati, bivalvi, gasteropodi, cefalopodi e coralli.
Inoltre alcuni blocchi carbonatici, disciolti in acido acetico, hanno liberato un mondo di fossili silicizzati, anche questa è una importante scoperta, il primo caso di fauna silicizzata in tutto il Triassico alpino e una delle pochissime al mondo per questo intervallo di tempo, forse l’ultimo caso di silicizzazione di massa di fossili carbonatici nella storia della Terra. La causa di questa silicizzazione potrebbe essere legata al vulcanesimo del Ladinico superiore che introdusse grandi quantità di silice nelle acque marine.
E così dopo alcuni altri “assaggi” superficiali nella zona, che continuano a confermare l’importanza del sito, a fine 2017, si svolge, con il permesso della Sovrintendenza della Regione Veneto, una ricerca più sistematica, continuata nel settembre 2018, che coinvolge anche l’IIS Geotecnico Minerario “U. Follador” di Agordo.
Nel corso degli scavi vengono ritrovati ben più di 100 pesci fossili con specie diverse fra cui numerosi esemplari di Marcopoloichthys e di Habroichthys, qui rappresentato da una nuova specie, la più recente del genere. Viene ritrovato un esemplare di Placopleurus, pesce finora conosciuto solo fino al Ladinico inferiore, resti di Saurichthys, pesci predatori simili ai barracuda attuali e una rarissima pinna di squalo, in tutte le Alpi ne è stato trovato solo un altro campione, proveniente dal famoso giacimento del Monte San Giorgio al confine Italia Svizzera un altro Patrimonio dell’Umanità UNESCO.
Negli stessi strati sono state raccolte, oltre ad un esemplare di celacanto, ammoniti della specie Protrachyceras archelaus, fossile guida che permette di attribuire ad essi un’età Ladinico Superiore. Anche questo è un fatto eccezionale perché permetterà di correlare le faune ad ammoniti della Cina completamente diverse da quelle alpine con quelle coeve delle Alpi, proprio grazie alla presenza degli stessi pesci, ben più veloci delle ammoniti a spostarsi nell’antico Oceano della Tetide.