Foto e testi tratti da "Dolomiti di Cristallo di Danilo Giordano, edizioni GAMP

Miniera di Val Imperina, di Villalta e Val San Lucano

Il collezionismo di minerali nell’agordino è molto diffuso e possiede radici molto profonde e lontane nel tempo, lo sviluppo di attività estrattive locali più o meno importanti a cui è seguita nel 1867 la nascita della “Scuola Mineraria” ha prodotto tecnici preparati ed appassionati che si sono distinti in attività minerarie in ogni parte del mondo ed hanno lasciato un segno importante e tangibile nella cultura della popolazione agordina, particolarmente attenta a tutto ciò che riguarda la mineralogia e la geologia.

Molti indizi di natura archeologica fanno supporre che fin dall’epoca preromana l’Agordino abbia costituito una importante fonte di materie prime per la produzione di metalli. Ma per disporre di una documentazione certa bisogna attendere il 1177 quando Federico Barbarossa concede al Convento di Novacella (presso Bressanone) l’investitura per lo sfruttamento delle Miniere del “Maso Fursillo” l’odierno Posalz in comune di Col S. Lucia (Val Fiorentina). Le prime notizie storiche della Miniera di Val Imperina risalgono invece al 1417.

Miniera di Val Imperina

La Val Imperina, è una valle laterale del T. Cordevole, impostata lungo una importantissima discontinuità strutturale (Linea della Valsugana) che porta a contatto le rocce del Basamento Cristallino Metamorfico con la Dolomia Principale. La miniera è ubicata qualche chilometro a sud di Agordo e ha rappresentato nei secoli scorsi uno dei principali centri minerari del Veneto.

Cenni storici

La prima notizia certa di produzione di rame risale al 1417, la seconda al 1483, l’importanza di questo sito viene compresa presto, a differenza degli altri affioramenti di minerali metallici presenti nell’agordino la mineralizzazione si presenta insolitamente ricca ed estesa. Inizialmente al giacimento attingono vari piccoli imprenditori che si limitano a “scalfirlo” superficialmente. Le cose cambiano radicalmente nel 1615 con l’intervento di Francesco Crotta che dispone di ingenti capitali e introduce quel progresso tecnico che consente di spingere in profondità gli scavi e di raggiungere la mineralizzazione principale. Nel 1669 all’azienda di Crotta si aggiunge un’azienda di stato gestita direttamente dalla Repubblica di Venezia, molto interessata al rame metallo “strategico” essenziale per la fabbricazione del bronzo da cannoni.

Accanto all’estrazione del minerale si sviluppa l’intero processo di lavorazione, dall’arrostimento all’aperto della pirite cuprifera a più fasi di fusione e raffinazione nei forni fusori ancora visibili nel sito minerario. Nel 1632 viene introdotto l’uso della polvere pirica per abbattere le rocce, nel 1670 viene perfezionato il processo di trasformazione affiancando al processo di estrazione per via secca un nuovo processo per via umida che consente di recuperare una quantità maggiore di metallo. Nel 1574 la produzione di rame metallico è di sole 15 t, nel 1669 è di 72 t, nel 1778 di 120 t , circa la metà del fabbisogno di rame della Repubblica di Venezia. Nel frattempo il numero di addetti nella miniera e nelle attività collaterali (compresi boscaioli e carbonai) passa da 300 a 1300.

Nel corso del 1800 con la dominazione Asburgica (R. Lombardo Veneto) la produzione di rame raggiunge le 200 t/anno, ma il declino del prezzo del metallo sul mercato internazionale in seguito allo sfruttamento su scala industriale dell’enorme miniera di Rio Tinto in Spagna e la scoperta di grandi giacimenti in Sud-America compromette l’attività estrattiva. Nel 1866 il Regno d’Italia pensa bene di sbarazzarsi di questa azienda di stato non più economica. Alla fine del 1800 la miniera di Val Imperina cessa di essere una miniera di rame per diventare semplicemente una miniera di pirite da cui estrarre acido solforico. La Montecatini (subentrata alla ditta Magni nel 1910) ammoderna l’impianto di estrazione, costruisce una centrale idroelettrica, una teleferica e la linea ferroviaria elettrica Agordo-Bribano (smobilitata nel 1956), il minerale estratto viene trasportato su rotaia fino a Marghera. Le vicende della miniera si concludono nel 1962 con la chiusura definitiva da parte della Montecatini.

Dal 1962 sono trascorsi molti anni senza che nessuno si sia interessato al sito e ne abbia compreso le potenzialità nel frattempo il trascorrere del tempo, le intemperie, la vegetazione, l’incuria hanno prodotto un notevole degrado delle strutture. L’importanza del sito emerge prima timidamente ad opera di studiosi come Raffaele Vergani, e Valerio Spagna. Finalmente nel 1867 il complesso di Val Imperina viene inserito nell’elenco dei “malati gravi”, i beni culturali italiani degni di essere recuperati. Nel 1989 la tesi di laurea di V. Pollazzon, A. Pollazzon e G. Slompo propone un recupero del sito di Val Imperina, è proprio sulla base di questo progetto che a partire dagli anni 90 è stato avviato il programma di recupero a scopo turistico del sito, tuttora in fase di attuazione.

Descrizione e genesi del giacimento

La miniera sfruttava un ammasso discontinuo di pirite cuprifera, pirite e calcopirite con minori quantità di altri minerali metallici quali blenda, galena, tetraedrite, arsenopirite, marcasite, cassiterite, pirrotina, magnetite, tennantite, stannite, ilmenite, rutilo, bournonite, cosalite, oro nativo. La ganga è quarzosa e subordinatamente carbonatica (ankerite e siderite). La mineralizzazione è localizzata nelle filladi quarzifere, il corpo minerario ha forma lenticolare allungata in direzione SW-NE per una lunghezza di 550 m e uno spessore di 30 m . Il tenore in rame oscillava dal 1,5 al 2% con tenori massimi del 8,5% . La presenza di tracce di stagno conferiva ottime qualità al rame di Val Imperina in possesso di una notevole resistenza alla corrosione.

Recenti studi sulle mineralizzazioni della Val Imperina (Frizzo-Ferrara 1994, Frizzo 2004) ) hanno chiarito che la genesi del giacimento (precedentemente ritenuto di tipo idrotermale da Ogniben 1966) è esalativo–sedimentaria.

Si tratta di un processo complesso e articolato nel quale l’apporto di metallo è collegato al vulcanismo Devoniano mentre la deposizione dei minerali utili è connessa ad un processo sedimentario sul fondo del mare. L’evento metallifero fu favorito da una circolazione idrotermale convettiva determinata dalla presenza in profondità di masse granitoidi. I fluidi metalliferi scaturivano dalle fratture del fondale e risalivano nell’acqua marina intorbidandosi progressivamente per la formazione di microscopici granuli di solfuri prodotti dalla reazione dei fluidi idrotermali acidi, ricchi di zolfo e metalli, con l’acqua marina fredda e alcalina. La continua flocculazione dei cristalli sul fondale marino produsse accumuli lenticolari di solfuri massicci di estensione chilometrica con spessori massimi in prossimità delle zone di fuoriuscita dei fluidi idrotermali.

In Val Imperina, le mineralizzazioni a solfuri massivi erano inizialmente rappresentate da corpi tabulari a geometria ellittica di estensione chilometrica e potenze variabili da qualche dm a 2-4 m , ma le azioni tettoniche e metamorfiche collegate all’Orogenesi Ercinica ne hanno cancellato l’originario assetto sedimentario stratiforme creando lenti, ammassi e zone fratturate e ricementate da solfuri più pregiati come calcopirite tetraedrite e galena.

Ulteriori modificazioni si sono avute con la tettonica Alpina, in quanto la mineralizzazione si sviluppa proprio in corrispondenza della Linea della Val Sugana; il giacimento è stato smembrato e si sono prodotte altre faglie e fratture non più ricementate da circolazione di fluidi mineralizzanti.

Si stima che dalla preistoria ad ora siano stati estratti 3 milioni di tonnellate di minerale e che il tonnellaggio totale del giacimento sia almeno di 6 milioni. di t.

Miniera di Vallalta

Nell’alta Val del Mis in località Vallalta, al confine con la provincia di Trento, in un territorio abbandonato e assediato dalla vegetazione si può scoprire ancora qualche esile traccia di un’attività mineraria che a partire dal 1700 si protrasse con alterne vicende fino al 1963 (Caneve 1991).

Cenni storici

Il giacimento fu scoperto a partire da alcune tracce di cinabro (solfuro di mercurio) affioranti naturalmente lungo l’alveo del T. Pezzea. La prima investitura per lo sfruttamento della miniera viene concessa nel 1740 a Ser Luigi Pisani, la mineralizzazione in superficie è ricca, con cinabro e mercurio liquido, ma poiché manca un impianto di trattamento, il minerale deve essere trasportato a Murano con una notevole lievitazione dei costi.

L’attività estrattiva si trascina con esiti alterni fino al 1852 quando la miniera passa sotto la gestione della Società Veneta Montanistica. Nel 1854 la galleria O’ Connor raggiunge il corpo minerario principale e nel ventennio 1860-1879 la miniera, che impiega 143 lavoratori, è la sesta in Europa per l’estrazione del mercurio. Questo periodo florido fu seguito da frequenti cambi di gestione e proprietari, accomunati spesso dal modo di coltivare il giacimento “a rapina”, tesi a realizzare guadagni immediati senza pensare ad uno sfruttamento razionale delle risorse per il futuro.

Le ultime vicende della miniera di Vallalta risalgono al 1958-1963 quando la Società Mineraria Vallalta intraprese una campagna esplorativa. Il 19 gennaio 1962 le attività furono funestate da un grave incidente conseguente ad un allagamento della miniera (incidenti simili erano avvenuti anche in passato 1860, 1868) nel quale persero la vita due minatori ed un perito minerario. Nel 1963 con l’interruzione delle ricerche si conclude la storia della miniera di Vallalta.

Descrizione e genesi del Giacimento

La mineralizzazione utile è racchiusa nelle arenarie conglomeratiche del Permiano inferiore (Conglomerato di Ponte Gardena), nei porfidi quarziferi e nelle filladi sericitiche, si limita a lievi incrostazioni, esili spalmature, masse granulari e granuli sparsi di cinabro lungo diaclasi, leptoclasi (fratture potenziali), specchi di faglia. La fascia mineralizzata composta da varie scaglie tettoniche è larga una cinquantina di metri e lunga circa 1 km.

Il cinabro è associato a pirite che costituisce la parte preponderante dell’apporto metallifero comprendente anche marcasite, orpimento, ematite, goethite, limonite, quarzo, calcite, barite e gesso.

Il giacimento viene considerato di tipo epitermale-teletermale di impregnazione e sostituzione.

I fluidi mineralizzanti risalirono dal profondo attraverso la zona intensamente tettonizzata e laminata sviluppatasi durante l’Orogenesi Alpina in corrispondenza della Linea della Valsugana.

L’accrescimento e l’ubicazione del corpo metallifero sono state regolate dal controllo meccanico esercitato dalla tettonica, che ha prodotto una estesa fratturazione della roccia ospitante sia a scala microscopica che macroscopica; dall’effetto di membrana semipermeabile originato dalla copertura scistosa semipermeabile che ha consentito il flusso del solvente (acqua) bloccando il soluto (sali minerali) e dall’azione catalizzatrice delle sostanze carboniose contenute nelle filladi che hanno favorito la precipitazione dei sali.

Sulla provenienza dei fluidi vi sono due ipotesi, la prima chiama in causa un batolite profondo, la seconda, più probabile, propende per un processo di rigenerazione (ridissoluzione e rideposizione) di mineralizzazioni legate al magmatismo permico di Cima d’Asta avvenuto nel Pliocene durante l’Orogenesi Alpina.

Val San Lucano

Le prime notizie di mineralizzazioni ferrifere presso la località Pont risalgono a prima del ‘500 ma lo sfruttamento è inizialmente disorganizzato e privo di programmazione, solo nel 1743 con la concessione dell’investitura a G. Crotta si ebbe un breve periodo di floridezza, seguito da un rapido declino, quando la miniera di Val Imperina assorbì completamente il legname prodotto nella valle del Cordevole. La concessione mineraria viene ritirata nel 1748, nello stesso anno il villaggio minerario viene distrutto da una calamità naturale.